
“La pena come integrazione sociale: quale senso ha l’ergastolo?” È questo il titolo del convegno al quale ho assistito lo scorso 16 maggio: una lectio magistralis del prof. Sergio Moccia, Emerito di Diritto Penale presso l’Università Federico II di Napoli. La cosa interessante e inconsueta è che si è parlato di ergastolo proprio in una Casa di Reclusione (quella di Rossano) e alla presenza di diversi detenuti ergastolani.
Articolo 27
della Costituzione italiana
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].
Non è ammessa la pena di morte.
Non riporto qui gli interventi dei vari relatori e della Direttrice dell’istituto penitenziario perchè sono stati ampiamente riportati dai vari organi di informazione, perciò mi limito a trascrivere alcuni brani tratti dal libro di Francesco, detenuto con un fine pena: mai.
… perché studio, perchè faccio teatro, perché cerco di avere uno scopo per vivere, se l’ergastolo è peggio della pena di morte… Perché lo Stato mi dà l’opportunità di migliorarmi se non potrò mai essere libero? (Francesco Carannante,”Sulla linea… la mia vita dietro le sbarre” – p.135)
Ora posso dire di essere fiero del mio cuore: ne ha fatte di cotte e di crude, ha ospitato il male, ha progettato azioni malvage, ha fatto una radicale (ma non ancora completa) pulizia, si è aperto al bene e… batte ancora. (p. 161)
È il 2016, sono 24 anni che sono detenuto. Sono più degli anni in cui sono stato libero e ho più del doppio degli anni che avevo quando sono entrato in carcere.
A volte questo pensiero mi avvilisce, altre volte non sapere se un giorno qualcuno crederà nel mio cambiamento mi attanaglia il cuore. (p. 177)
Ha senso rieducare un condannato e nello stesso tempo togliergli la speranza di potersi reinserire nella società?
Si può vivere senza speranza?
Un essere umano deve marcire in galera?
Se la pena di morte non è ammessa… perchè allora c’è il fine pena: mai?
Non trovi che il fine pena: mai sia una pena di morte… che ammazza pur lasciando vivi?
Voglio concludere con una frase del prof. Moccia: “Sono stato tacciato di far parte dell’intellighenzia. Ecco… a questo proposito voglio coniare il suo opposto: la cretinenzia.”
Sono d’accordo con lui e aggiungo: se proprio non si riesce a far parte della prima categoria sforziamoci, almeno, di non appartenere alla seconda.
Letizia Guagliardi
Quando ho letto il libro di Francesco mi sono posta tante domande tra cui queste che riporti nel tuo articolo Letizia. Facendo riferimento proprio a lui che ha fatto un grande percorso di trasformazione impregnato di dolore,sensi di colpa e poi il lungo studio che gli ha permesso di allargare la sua visione sulla vita, non solo lo ha rieducato,ma fatto nascere due volte. Io credo che la maggior parte degli ergastolani facciano questo lavorio,allora… perché non dargli la possibilità di riintegrarli nella società ed abbracciare una nuova vita?
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Già, cara Lucia… perché no?
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“Gesu’, non ho mai avuto paura dei cattivi, ci sono nato intorno a loro, piuttosto è da tanto tempo che sono ” i buoni ” che mi fanno paura”!!! Sono queste le parole disperate di un ergastolano, parole che toccano nel profondo il mio cuore e che mi portano a pensare: Dio e’misericordia, non può condannare una persona per sempre e allora…Gesù, non riesco a capire a cosa serve e a chi serve che tanti”uomini ombra”,dopo 20, 30 anni rimangono chiusi in una cella!!!!!! A che serve essere vivi se non si ha nessuna possibilità di vivere? Diamo fiato a chi vive il carcere!!! Aiutiamo Francesco Carranante (ergastolano,protagonista del libro”Sulla linea… la mia vita dietro le sbarre”) a trasformare il buio della sua cella in luogo di luce e di speranza!!!!!
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Proprio così, Rosa! La speranza non deve mancare nella vita di nessuno, libero o prigioniero che sia.
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