Ci sono luoghi, nelle nostre città, che presentano le stesse caratteristiche di un deserto: terreno arido e molto salato, freddo intenso che penetra nel cuore, caldo opprimente che annebbia i sensi, venti capricciosi che cancellano speranze già deboli, tempeste di sabbia che nascondono timidi germogli.
Eppure… questi deserti non si chiamano nè Sahara nè Gobi ma, ugualmente, chi ci vive abitualmente o vi trascorre periodi più o meno lunghi ne conosce bene tutte le asprezze: la solitudine, la desolazione, l’isolamento, il senso di morte, l’abbandono, l’attesa senza speranza, l’orizzonte incerto.
Sono piccoli deserti che si chiamano ospedale, carcere, orfanotrofio, ospizio, centro di igiene mentale…
Il bello del deserto è che ci puoi incontrare, inaspettatamente, delle persone che sfidano quello che hanno intorno e si ingegnano per trovare l’acqua (perchè in profondità c’è), scavano pozzi per portarla in superficie, e quando piove (poco e raramente) trovano il modo per raccoglierla, conservarla, incanalarla. E poi seminano, piantano, allevano animali, costruiscono case.
Nasce così un’oasi, una piccola zona ritagliata nella sconfinata distesa di sabbia che si anima di persone volenterose, di palme, di alberi da frutto, di orti, di animali. Un’esplosione di colori in mezzo alla monotonia di un mare di onde monocolore. Una propagazione di suoni e di voci che rompe il pesante silenzio che aleggia fra le dune.
È quello che hanno fatto nei giorni scorsi, per esempio, alcune persone all’Ospedale di Corigliano (Cs): il dott. Giovanni Battista Arnone, direttore del reparto di Chirurgia Generale e il dott. Giuseppe Campanella, caposala, hanno voluto creare una piccola oasi nel deserto in cui ogni giorno operano (e non solo chirurgicamente).
L’oasi è rappresentata da una mostra fotografica permanente: una serie di bellissime foto scattate e donate da Raimondo Licastro, fotoamatore nonchè mio collega a scuola.
La loro sensibilità ha così fornito un punto di interesse e di riflessione, una palma che offre ombra e frescura a chi vi sosta, uno stimolo per quanti vogliono emularli e creare altre oasi nei propri quotidiani deserti. Perchè la forza – quando si attraversa un deserto – è la certezza che da qualche parte c’è un pozzo che aspetta proprio noi.
Una sfida che, se si vuole, può diventare realtà.
Altrimenti rimane solo un miraggio.
(Se vuoi vedere le foto della mostra questo è il link: https://www.facebook.com/raimondolicastrophotography/)
Mi fa piacere constatare che vi siano medici di straordinaria sensibilità! Bellissimo questo tuo paragone con il deserto, mi fa pensare al deserto dell’anima, quando ti trovi in quei lunghi periodi bui e ti sembra non vi sia una via di’uscita. Anche lì c’è un pozzo, anzi un fiume che scorre dal trono di Dio, quel fiume si chiama Gesù!
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Grazie,Tina. Hai colto perfettamente il senso del mio post.
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“Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte vi è nascosto un pozzo” (Antoine de Saint-Exupery)
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Proprio così. Sia io che Antoine, prima di me, prendiamo molti spunti dalla Bibbia.
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Buonasera Letizia. Attraversare il deserto e trovare un’oasi in cui trovare un momento di ristoro…va bene all’anima e alla mente.
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Sì, va bene quando la troviamo. E se invece l’oasi dobbiamo crearla noi…?
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Buona seraLetizia! Che bello! Le tue parole toccano le profondita’del mio animo… Complimenti! Nella vasta regione desertica dell’Africa settentrionale c’è il deserto del Sahara,tuttavia ci sono falde d’acqua che in alcuni punti riaffiorano in superficie consentendo la vita a piccole oasi. In queste oasi sbocciano anche le rose. Nei “deserti delle nostre anime teniamo vicino la Bibbia. Essa ci dà l’acqua per tornare sereni! Visitiamo invece i deserti dove si vive la solitudine, lo sconforto e la disperazione. Solo così aiuteremo queste persone ad attingere acqua dai nostri pozzi e vedremo anche qui spuntare le rose dell’amore!
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Grazie a te, Rosa. Ricordiamoci, però, che per dare acqua agli altri dobbiamo prima riceverla noi. Come hai suggerito tu… teniamo vicino a noi la Parola, leggiamola e mettiamola in pratica.
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