Ti capita di sentire un profumo, un aroma, anche lieve, appena accennato e… a poco a poco ti appare nella mente una sensazione, un’emozione, un ricordo che risale a tanti anni fa, magari alla tua infanzia?
È quello che succede a me, per esempio, quando sento il profumo delle polpette di melanzane. Il ricordo va subito a mia nonna Ida. Le sue polpette erano fantastiche. Nel corso degli anni ne ho mangiate diverse, anche eccellenti, ma nessuna ha mai neppure eguagliato il profumo e il sapore di quelle di mia nonna.
Ricordo che, da bambina, mi portava al mercato di Via Rivocati a Cosenza e mi divertivo tantissimo a fare la spesa con lei. Tutte quelle bancarelle multicolori, tutte quelle voci che si mescolavano e richiamavano gli acquirenti, i galli e le galline che schiamazzavano, l’odore di fritto dei cuddurieddri… tutto mi sembrava un grande circo. L’unica differenza era che gli artisti-venditori stavano fermi e io e la nonna giravamo in quell’allegra baraonda e li osservavamo. O meglio, io osservavo, la nonna sceglieva con cura quello che aveva stabilito di comprare.
Perchè per scegliere le melenzane che le servivano per fare le polpette, ci metteva un pò. Dovevano essere della misura giusta e del colore ideale, altrimenti passava avanti. Poi, subito a casa a prepararle. A volte l’aiutavo, e poi c’era il piacere dell’attesa, mentre le friggeva. La prima polpetta, dorata e croccante, era per me. Altre volte, dopo il tramonto, le trovavo appena uscite dalla padella. Io, che tornavo stanca e affamata dopo aver giocato con i miei amici nella villa di Corso Umberto, quelle benedette polpette avevano lo stesso effetto della manna per gli Ebrei nel deserto.
Già Marcel Proust, il famoso autore della “Ricerca del tempo perduto”, aveva scoperto questo legame fra olfatto, gusto e ricordi. Così le petites madeleines, i dolcetti a forma di conchiglia, addentati ormai adulto e malato nell'”esilio” del suo appartamento parigino, gli fanno tornare al palato della memoria il ricordo delle domeniche mattina quando era bambino a Combray, e a offrirgliele, accompagnate da una tazza di tè o di tiglio, era zia Léonie.
Ecco perchè la memoria, scatenata da un cibo, da un profumo o da un oggetto, si chiama Sindrome di Proust ed è stata oggetto di numerosi studi.
Nel suo romanzo Sulla linea… la mia vita dietro le sbarre Francesco, a pag. 168, scrive:
Il gorgoglio della caffettiera mi scuote. L’aroma invade la cella e ho un attacco di nostalgia. Il profumo del caffè era la prima cosa che sentivo quando ero ancora a letto. Era qualcosa che mi piaceva e che mi faceva sentire al sicuro: mamma c’era e fra un pò sarebbe venuta a svegliarmi.
Le polpette di melanzane e nonna Ida per me… il caffè e la mamma per Francesco… il cibo non è solo nutrimento per il nostro corpo. Io ci vedo molto di più: benedizione, per esempio, e poi… condivisione, accoglienza, memoria, emozioni. E consapevolezza, anche.
La consapevolezza che, insieme ad un aroma o sotto un profumo, si cela un gesto d’amore, un momento speciale, il ricordo di un luogo amato o di una persona cara. Soprattutto… l’esperienza che, con un boccone, assaporiamo anche delle suggestive sensazioni.
E tu… qual è la tua petite madeleine?
Tutto vero carissima, che siano polpette o altro non cambia. Ciò che è comune è il mondo di ricordi, persone, sorrisi ed affetto ricevuto…..a volte penso “quante cose buone ho mangiato……” e penso che sono stato fortunato….per aver avuto quel mondo di amore…buona domenica a tutti.
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Grazie, Merlino. Anche questa è consapevolezza… quella di aver ricevuto un mondo di amore. Non è da tutti riconoscerlo ed esserne grati.
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Come sempre tu cara Letizia mi fai fermare a riflettere ! A me è successo poche settimane fà durante uno dei miei ultimi viaggi a Milano , ritrovare un sapore che mi ha ricondotto indietro nel tempo,e proprio di questo rendevo partecipe mio figlio Alessandro .Stranamente a Milano ho ritrovato il sapore della pizza di Napoli (eravamo in uno dei locali di Sorbillo ,famoso pizzaiolo partenope….)e anche per me questo sapore antico ha riportato ad un gesto d’amore legato all’infanxia,quando andavamo a villeggiare a Castellammare di Stabbia e mio padre mi comprava la pizza e con tanto amore, ricordo la piegava e con pazienza mi aiutava a mangiarla seduti ad una panchina,facendo attenzione a che la mozzarella non colasse e mi sporcasse i vestiti!
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Tina… grazie per questo tuo ricordo. Un semplice trancio di pizza richiama al tuo cuore un gesto d’amore. Uno dei tanti.
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Mi piace chiamarlo “cibo dei ricordi”. Per me si tratta di un viaggio alla ricerca di quel bambino interiore grazie tutti abbiamo dentro. É importante ricontattare il tuo bambino interiore e ricordare quali sono i suoi sogni e cosa lo rendeva felice perché ti aiuterà a vivere meglio. Il tuo bambino interiore sorrideva e fremeva di gioia quando la mamma portava in tavola il piatto preferito o quando arrivava il momento di preparare la torta di compleanno. Il cibo dei ricordi può essere legato ad un pizzico di nostalgia, ad un’occasione speciale e al senso di appartenenza alla famiglia o a un determinato luogo. Che bello fare un viaggio nei ricordi attraverso il cibo. Io ricordo il profumo del latte, confezionato in buste di cartone della centrale del latte di Taranto, dove risiedevo per lavoro di papà, della mia prima colazione. Ero ancora adolescente quando la mattina mi svegliavo con quel profumo intenso ma dolce. Concludendo lascia scendere qualche lacrima se occorre: è liberatorio e contribuisce a sciogliere i blocchi emotivi.
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Che bella questa serie, appena iniziata, di cibi legati ai ricordi della nostra infanzia e adolescenza…Altri sono su Facebook (sul mio profilo) e sono sicura che ne arriveranno altri. Con l’augurio che, facendo affiorare ricordi che magari credevamo perduti, facciamo venire fuori anche il fanciullino che è dentro ognuno di noi.
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Ciao,Letizia! Le mie”petite madeleines”sono i maccheroni fatti in casa con la farina integrale. Spesso vado alla ricerca “del tempo perduto” e i maccheroni mi riportano a nonna Serafina. “Nostalgia canaglia” cantano Romina e Albano! E allora mi ritrovo con un “cuore di paglia” nel rivivere quelle belle giornate d’estate! In quelle stanze della mia anima rivedo nonna tutta intenta a preparare con maestria i bastoncini di pasta e poi “cavarli” con il ferro. Poi, mentre lavorava, mi invitava ad imparare come dovevo muovere il ferro, ma io non ci riuscivo! Non ci riesco nemmeno adesso! E poi ecco le foto! Nonna che apparecchiava una bella tavola all’ombra di un maestoso albero di noce e mentre un piccolo ruscelletto che scorreva lì vicino faceva da musica si consumavano quei maccheroni conditi con il sugo di pomodoro fresco! Quanta allegria! Quanta condivisione!
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Cara Rosa… anche la tua petite madeleine è molto suggestiva. L’hai descritta così bene che mi è sembrato di sentirlo… il ruscelletto che accompagnava i maccheroni sotto l’albero di noce. Hai così riportato nel mio cuore l’altra mia nonna, nonna Maria. Lei faceva dei maccheroni fantastici e mi ha insegnato come usare il ferro.
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La memoria incamera lo stimolo sensoriale e lo ripete infinite volte. Ma attenzione! La memoria è un’attività primordiale, nasce prime prima della coscienza. Infatti, anche le piante hanno memoria, naturalmente senza coscienza e senza immagine.
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E chissà quali sono le petites madeleines delle piante…
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